Il fornaio della domenica: come nasce un libro in questa piccola cucina

Il fornaio della domenicaIl fornaio della domenica http://www.fragoleamerenda.it/author/sabrine/

Era una fredda giornata di gennaio. Il cielo sulla distesa di tetti di là dai vetri sfoderava la mia luce preferita (grigio-promessa-di-temporale, ed era una promessa che avrebbe mantenuto), e le uniche signore a sfidare il gelo erano le mie dirimpettaie cornacchie (cornacchie vere, eh?, non metafore coi tacchi). Il forno era acceso, e tutti gli abitanti della variegata comunità di lieviti che popola la mia cucina vivevano momenti di grande effervescenza: reduci da giorni di intenso riscaldamento muscolare (rinfreschi, pre-impasti, ooop!-ooop!…), erano schierati in ordine perfetto sul tavolo da pranzo, trasformato ancora una volta in campo di battaglia, tutti in attesa di un mio cenno per dar vita a trecce, pagnotte e croissant.

Solo i miei capelli lanciavano inequivocabili segnali di inquietudine: svolazzavano indomiti, sfuggendo alla matita che utilizzo alternativamente per maldestre coiffure improvvisate e per correggere gli appunti, quando il quaderno è appeso al frigorifero.
Ormai mi conoscete: ho reazioni molto diverse, dinanzi agli obiettivi. Se sono di quelli che indicano un progetto, un traguardo da raggiungere, mi piacciono tantissimo, persino di più se la strada da percorrere è impervia e ricca di incognite. Se invece hanno la forma di un gigantesco occhio indiscreto, che mi scruta dalla sommità di una macchina fotografica o – peggio ancora – di una telecamera, beh… sono capaci di mettere a dura prova la mia ben nota faccia tosta!

Ma nemmeno la più discreta (e tosta) delle facce toste può opporsi alla magia della vita che scorre dentro un impasto da pane. Così adesso potete vederlo pure voi: lievito e farina hanno il potere di stregarmi…
Mi trascinano in un tempo lento che scorre a ritmi che non sono i miei, e mi fanno dimenticare ogni tensione. Subisco il fascino incondizionato di un intreccio da zopf, di un lievito che decide di andarsene a spasso da solo tuffandosi dall’alto di una brocca, e persino di tutte quelle briciole che poi mi tocca aspirare dalla lunga fenditura tra le assi del mio vecchio tavolino (e adesso capite perché in questa piccola cucina di tavolini nuovi non sapremmo cosa farcene).

Non vi nascondo che la marinière ha contribuito, e non poco, a farmi sentire a mio agio. Siete autorizzati a riderne, e in cambio di questa autorizzazione vi pregherei di far comprendere a mia madre che non c’è alcuna speranza che io decida di apparire abbracciata a uno dei miei impasti in abito da sera: vale per i grandi quotidiani, per le pagine dei miei libri, e per i video in questa piccola cucina. Dovrà accontentarsi di vedermi in lungo in certe foto in cui compaio al braccio di Monsieur, ma quella è un’altra dimensione e io ho bisogno anche di questa: di sentirmi a casa mia, in ballerine di velluto e marinière, in compagnia di tanti amici, e di questi fili che mi legano a persone sconosciute, ma che non sono poi così invisibili essendo fatti di lievito e farina, di zucchero e uova, e di ditate di burro e cioccolato (potevano mancare?). Sono legami tutt’altro che intangibili, perché hanno tutti un esito comune: che sia una torta stortignaccola, una pagnotta perfetta, o una sfornata di bignè dei quali uno soltanto ha raggiunto la vetta sperata (qualcuno potrebbe avere un déjà vu…), si tratta sempre di qualcosa di gioiosamente commestibile!

Perciò non smetterò mai di ringraziare tutti quelli che mi inviano foto di ricette uscite dalle pagine dei libri che hanno preso vita proprio qui, tra la cucina e il tavolo da pranzo che ad anni alterni si trasforma in campo di battaglia. Per me è una grandissima soddisfazione, e anche una sorta di viaggio fantastico: come entrare in casa vostra… sulle ali di una brioche! E mi scuso se non sempre riesco a rispondere nei tempi commisurati alle emergenze in corso nelle vostre cucine: esuberanti acque d’uvetta che traboccano dal vaso (va tutto bene, la vostra uvetta è piena di vita!), lieviti madre che paiono indomabili (tranquilli, vincerete voi…), pagnotte con croste croccanti ma sottili (comprare pentola di ghisa, please), scomparsa del lievito di birra (la soluzione si chiama soda bread!).

Sono settimane un tantino complicate, e la dotazione tecnologica a mia disposizione ha deciso di scioperare proprio adesso. Ad essere sinceri, gli scioperi non sono del tutto immotivati…
Gli occhiali sono rimasti vittima del crollo di una pila di volumi (io e Monsieur stiamo facendo pulizia). Il telefono (lo so, si chiama smartphone, ma si comporta in maniera poco “smart”) è reduce da un paio di cadute rovinose: adesso, se chiamo mia madre mi risponde l’idraulico, e il vicino del quarto piano (che si sta amorevolmente occupando del mio terrazzo a centinaia di chilometri da qui) sente tutto in diretta. Così un post su Instagram equivale al rischio di ritrovarmi in rete il reportage fotografico con il rifacimento del tetto condominiale, il ritratto del gatto di Principessa, o la ricevuta del nuovo aspirapolvere. Ma non mi sogno di smettere di usarlo per giocare con Polpetta via Whatsapp: prepariamo pizze al “topodoro” e torte alla “ganaschhh”, aiutiamo i pompieri a ritrovare Brigida (un ovino di peluche che viene rapito, con puntualità da ferroviere, ogni pomeriggio alle cinque da Lupo de Lupis), e facciamo mascherine di carta a forma di cuore, di fiore, e di tricolore. Le ritagliamo, ciascuna a casa propria, con forbici che lasciano i bordi a zig-zag. Lei è diventata abilissima a sforacchiare le sue con una matita spuntata, io annodo le mie con il cordino da panettiere che ben conoscete. E anche se forse vi sembrerà inopportuno, vivo tutto questo come una fonte di bellezza e di poesia. Sono solo fotogrammi, nell’economia di un film che mai avrei scelto di andarmi a vedere, ma ci sono e ne faccio tesoro.

E adesso c’è un’ultima cosa che vi devo dire, prima di lasciarvi a questo video che racconta di me più di quanto potessi immaginare. E’ una cosa che ha a che fare con il film di cui sopra, e anche questa era al di là di ogni possibile immaginazione, quando il mio libro prendeva vita tra il forno e il campo di battaglia in sala da pranzo.
Il pane è tornato prepotentemente alla ribalta, in queste settimane. E non perché sia un tipo prepotente, tutt’altro. E’ umilissimo, nella sua più intrinseca natura, ma ha dalla sua la forza delle cose solide, antiche e fuori dal tempo.

Fare il pane è bellissimo, e una pagnotta è… un progetto commestibile alla portata di tutti! Volevo raccontarvi proprio questo (punteggiatura compresa), in quelle trecento e passa pagine che per me sono state tre anni di vita. Sapere che “Il fornaio della domenica” sta tenendo compagnia a tante persone, in questo tempo sospeso, dà un senso inatteso e prezioso al mio lavoro.

Perciò, adesso che sapete quanto è facile farsi un pane, sapete anche che non è il caso di trasformarlo in una scusa per uscire… L’unico rischio che vale la pena di correre è di scoprire che anche in voi si nasconde un gioioso, appassionato, talentuoso fornaio della domenica! Accendete il forno. E state a casa…

Saluti e baci! (di quelli che contagiano solo gioia e pagnotte…)

S.