Le fave all’aglio fresco

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Fave al'aglio

Che quella di oggi non sia una ricetta l’avete capito già dal titolo. Ma questo non è un blog con pretese di insegnare qualcosa a qualcuno: è una cucina vera, nella quale bollono pentole e borbottano coperchi mentre la vita tutt’attorno scorre secondo ritmi suoi.

Capita così – ebbene sì… di nuovo! – che sbuffi di calce e di farina si alzino al cielo in vorticose danze parallele, separati non più solo da un esile telo di plastica bensì da un muro vero. Quelle stanze che ben conoscete non si rassegnano ancora a diventare un pezzo di casa: se ne stanno lì per conto loro e sembrano persino soddisfatte quando una nuova calamità para-edile si abbatte su di me senza pietà.

L’ultima – in ordine di tempo – si presenta ogni mattina armata di secchi e di pennelli: dovrebbe essere un imbianchino. In realtà è un bizzarro signore un po’ balbuziente, nato falegname, cresciuto fabbro, emigrato cartongessista e ritornato a casa con l’autoqualifica di pittore. Che nella sua personale graduatoria dev’essere una sorta di onorificenza, un titolo che dà diritto a combinarne di tutti i colori… possibilmente sbagliati.

Il primo giorno, l’ho informato sui tranelli del cantiere. “I muri sono di tufo, non li prenda a martellate. Le porte non hanno ancora maniglie, quindi hanno il blocco: stia attento a non chiuderle. E le latte di vernice vecchie sono identiche a quelle nuove: mi chiami prima di usarle”

Due ore dopo, il ritmo cadenzato della frusta a mano (facevo meringhe) ha iniziato a giungermi alternato a uno strano sillabare.
“Si-iis-signoraaa! Si-iis-signoraaa!”
Il mio presentimento è divenuto certezza quando mi sono resa conto che il cantiere era deserto: e con una porta chiusa.
“Ma come ha fatto a rinchiudersi lì dentro?!?”
“Conoscendola, non volevo fare polvere col trapano! Ma vedrà: adesso esco!”

Si era chiuso in un guardaroba di poco più di un metro quadro, senza luce, pieno di polvere di tufo e senza alcuna apertura ad eccezione di un passaggio per cavi elettrici. Non volendo che chiamassi i pompieri (“quelli arrivano e ci rompono la porta…”), ha preteso che a venire in suo soccorso fosse il muratore che sta lavorando al piano di sopra. Il quale si è fatto dare una chiave, l’ha infilata nella toppa e l’ha girata nel senso contrario a quello che ogni evidenza avrebbe suggerito: chiudendolo dentro definitivamente a due mandate.
“Ma… l’ha chiuso dentro a chiave?!?”
“Signora, cosa pretende? Ci abbiamo provato… Comunque adesso la serratura è bloccata. E io devo andare a pranzo.” E ha girato i tacchi.

Così (sempre perché al solo udire “pompieri” quello sbraitava a più non posso) sono diventata mio malgrado la protagonista del piano B.
“Si-iis-signora, io adesso faccio un buco, lei mi passa la chiave e la maniglia e io mi libero”
“Ma è un muro di sessanta centimetri! Per sforacchiare questo tufo lei mi muore soffocato!”
“Vrrruuuom! Vrrruuuom!”
La risposta è arrivata direttamente dal trapano: e non c’è stato verso di zittirlo fin tanto che la punta non ha fatto capolino all’altezza dei miei piedi.

Mentre un fungo atomico color giallo paglierino si spandeva per la stanza, mi sforzavo di seguire le sue indicazioni: dovevo appiccicare la maniglia alla punta (bollente) del trapano con il nastro adesivo, e lui l’avrebbe tirata dentro. Ma il passaggio era sempre troppo stretto, quando infilavo il braccio in quell’anfratto per porgergli ogni genere di utensile. Così il buco è diventato una voragine: ma ci è voluto ugualmente un fabbro per riuscire a liberarlo (dopo pranzo, però, perché in questo posto le tradizioni le rispettano…) E’ uscito fuori polveroso che pareva uno yeti: potevo protestare per una giacca blu divenuta color sabbia e delle ballerine di velluto da buttare?

I due giorni successivi li abbiamo passati a spostare bidoni di vernice da casa al colorificio: una volta ha sbagliato il codice, un’altra ha confuso le latte, un’altra ancora ha fatto modificare il colore giusto e ne ha riportati indietro due sbagliati (il bianco era diventato giallo canarino). In tutto questo andirivieni ha perso due volte le chiavi del furgone e ha lasciato dal ferramenta la mia mazzetta di colori, per cui non abbiamo più un campione.

In compenso, deve aver deciso che il titolo di pittore gli va ormai stretto e si avvia ad intraprendere una carriera da mercante d’arte. Ieri mi osservava mentre scrivevo sui muri codici e colori nel tentativo di prevenire una catastrofe cromatica.
“Si-iis-signora, ma lei se ne intende di pittura?”
“Quel tanto che serve a sapere che la calce si dà a pennellate incrociate” ho risposto, pensando si riferisse al tema della giornata.
Mi sbagliavo: un minuto dopo mi stava offrendo nientepopodimeno che… la Gioconda! Di proprietà di una sua anziana zia.
“Originale, eh? Del Settecento. Una delle cinque copie al mondo fatte da Leonardo…”

Ho faticato non poco a mantenere un contegno.
“Temo di non potermela permettere…” ho farfugliato.
Dopodiché – per evitargli una faida ereditaria con il parentado – gli ho consigliato una specie di antiquario nei paraggi, uno che rifila patacche dorate con la stessa faccia tosta con la quale si oppone ad ogni intervento di manutenzione del condominio.

E adesso, in attesa che le mie stanze si rassegnino a trasformarsi in una casa, sbircio le sue vetrine: non è escluso che vi compaia prima o poi una Gioconda del Settecento… Nel caso, spero solo che ciò accada quando le mie stanze saranno finalmente dipinte: non da Leonardo, ma possibilmente del colore giusto…

E se vi state chiedendo cosa c’entrino le fave con tutta questa storia di vernici, di tufo e di pittori (compreso il famoso da Vinci delle cinque Gioconde), sappiate che sono semplicemente l’unica cosa che ho potuto cucinare negli ultimi due giorni…

Saluti e baci (a colori),

S.

LE FAVE ALL’AGLIO FRESCO

INGREDIENTI

fave fresche: 300 gr (già sbucciate)
aglio fresco: un paio di spicchi
bicarbonato: 1 cucchiaino
pane (adatto alle bruschette, cioè senza troppi buchi)
olio extra-vergine di oliva
sale
pepe

Mettete sul fuoco una pentola capiente con abbondante acqua leggermente salata (regolatevi come per la pasta). Quando l’acqua bolle, versateci le fave, uno spicchio d’aglio fresco senza buccia e un cucchiaino di bicarbonato (serve ad ammorbidire la pellicina esterna e a mantenerle verdi).

Fate bollire le fave finché non sono tenere, ma non disfatte (vuol dire che dovete cuocerle un po’ meno di quelle della foto…), poi scolatele.

Conditele subito con un filo d’olio del migliore che avete e mangiatele tiepide, accompagnandole a una bruschetta: che sapete tutti come si fa… A meno che non siate dei giovani ragazzi, di quelli alle prime armi in cucina anche quando si tratta di ricette scapigliate. Nel qual caso, come si fa una bruschetta basic ve lo spiego subito.

Tagliate a fette del pane di quello con una mollica che non sembri un groviera e che abbia una crosta degna di tale nome (tipo un toscano, un pugliese di semola o simili), tostatelo nel tostapane o sulla grata del forno senza farlo rinsecchire (dev’essere croccante fuori e tenero dentro, come le ragazze a cui vale la pena fare il filo…), strofinatelo con uno spicchio d’aglio sbucciato (senza esagerare…), conditelo con un filo d’olio, sale, pepe e mangiatelo caldo. E’ buonissimo così, senza null’altro, ma con le fave di cui sopra acquista un caratterino garbatamente ruspante. Esattamente come le ragazze  da sposare…

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Non pensate che…
… questa sia solo una ricetta d’emergenza. Le fave con l’aglio fresco sono uno di quei nobilissimi, semplicissimi piatti della tradizione che andrebbero praticati con maggiore convinzione. Perché sono buonissime: anche se le cuocete un filo di troppo e ve ne ritrovate qualcuna spappolata…

La ricetta delle fave all’aglio novello
Viene dalla casa del mio amico buongustaio, una delle persone più generose, ospitali e divertenti che questa terra mi abbia fatto conoscere. Cucina sontuosi ragù di barracuda che sono buonissimi anche quando si scopre che il barracuda era in realtà un luccio. Ha una dotazione di acciughe alle cipolle da sdilinquirsi al solo ricordo, ma pare che la ricetta sia un assoluto mistero. Costretto dalla professione alla più rigorosa serietà, non disdegna nel tempo libero attività creative di vario genere tra le quali – cosa che gli è valsa ai miei occhi un punteggio altissimo – pedalare con la macchina da cucire per riparare vele e cucirsi costumi (fantastico, no?). Gli brillano gli occhi davanti a un’anatra di Capodanno ben fatta e condivide con me la passione per un intruglio di norcineria che chiamano “testa in cassetta”, servito in certe cantine col vino nuovo.
E’ stato da lui che ho assaggiato la prima volta queste fave (assieme a innumerevoli altre cose, com’è nella tradizione della casa): e non me ne sono più dimenticata.