Il mio pandoro di brioche: sfida di Natale
Forse questa non è esattamente una ricetta. Diciamo che è la cronaca di un’avventura dagli esiti commestibili a metà, ma poco importa: perché non era questo il senso della sfida.
Mi rendo conto che la cosa non risulti facilmente comprensibile, ma mettiamola così: quando si avvicina il Natale – da un certo numero di anni a questa parte – ho bisogno di cimentarmi in un’impresa dagli esiti incerti. In genere è un corpo a corpo con un impasto di quelli a lunghissima lievitazione, il che non sarebbe da me: non ho mai adottato nemmeno un pezzo di pasta madre, con la scusa che di figli ne ho già due e non ho bisogno di un infante viziato in frigorifero. Ma questo esercizio di impegno e di attesa mi serve a non dimenticare che le avventure più belle sono quelle in cui non è scontato vincere.
C’era una ricetta che giaceva da tempo sul fondo del mio archivio-teiera-di-latta, senza riuscire a trovare la strada del forno. Io adoro le brioches ma un impasto con cinquanta uova (sì, cinquanta…) mi pareva sempre ben al di là della mia portata! Finché una mattina ho deciso che era giunto il momento di guardare a quel foglietto da un’altra prospettiva: ho buttato giù la mia matrice a tre colonne e ho rifatto le proporzioni. Non è che quadrasse proprio tutto, ma ci ho voluo provare lo stesso.
La signora T. era stata chiarissima, al riguardo: “Non ci provi da sola! Mia madre si fa aiutare da mio padre, a montare gli albumi… E poi l’impasto è appiccicoso.” Ma Monsieur d’Aubergine non era disponibile quella mattina (e in ogni caso non avrebbe mai l’ardire di affrontare un impasto appiccicoso…). Perciò sarebbe stata proprio questa – quest’anno – la mia sfida di Natale. Magari con una quantità di uova decisamente inferiore…
Ho scelto una giornata che dalla luce non pareva nemmeno Dicembre, ma gelida abbastanza per rendere le cose più difficili (lo sanno anche i bambini che i lievitati amano il tepore). Ho preparato il lievito, montato a neve ferma gli albumi con lo zucchero, e ho atteso i primi segni di effervescenza nella ciotola: una meravigliosa lava, in varie sfumature di bianco, ribolliva nel cratere di farina. Poi ho impastato, ungendomi le mani di burro come mi aveva raccomandato la signora T.: l’impasto era appiccicoso, ma quando l’ho rimesso nella ciotola era docile, liscio e lucente… la promessa di una perfetta brioche.
E’ stato a quel punto che la piccola dose quotidiana di accidenti karmici si è concentrata nella mia cucina.
Prima la portinaia, per una consulenza di décor nell’androne. Squillo prolungato al citofono: “Signoraaa! Ma a lei ‘sto Babb’enatal ci piace appeso, oppure coi piedi per terra?”
“Direi coi piedi per terra…”
“E allora scenda, perch’io posto in piedi qua non ce n’ho: sennò dove lo metto il Bambinello?…”
Poi la sussiegosa signora del secondo piano.
Squillo alla porta delicatissimo, ma sommamente antipatico: “Avrei da farle firmare una petizione contro i barboni che ballano il tango la notte, qua sotto…”
“Ballano anche d’inverno?”
Sbattuta di ciglia, un po’ seccata: “No, però se non ci portiamo avanti finiremo circondati.”
“Non è così male essere circondati da ballerini!”
Alzata di sopracciglia, irritata: “Lei li chiama ballerini, io barboni: non cambia.”
“Ma sa che ha ragione? Non cambia: a me non danno fastidio né le persone che dormono sotto i portici, né quelle che ballano. E poi adoro il tango…” e a quel punto – solo a quel punto – ho sorriso (confesso: con una faccia da schiaffi).
Infine la nonna, via cavo, nella sua versione in assoluto più pericolosa. Driiin!
“Volevo annunciarti una novità: ho appena comprato un iPad!”
“Mamma… era proprio così urgente?” ho risposto sapendo già cosa mi attendeva.
“Certo! Non posso mica partire per due settimane e tirarmi dietro quel catorcio del portatile: lo sportello ha perso una vite e non ne trovo una uguale…”
Mia madre ha una visione molto particolare di tutto ciò che è high-tech: per esempio pensa che un “hard disk” sia – per l’appunto – “hard“, cioè in grado di reggere a rovinose cadute dal divano. Quando le fratture sono evidenti (che so, un distacco di video dalla tastiera) le cose si aggiustano secondo lei a colpi di cacciavite. E per fortuna non possiede un trapano…
“Allora hai fatto bene. Piuttosto, funziona tutto?”
“Veramente non mi partono le mail. Ma magari tu sai come si fa…”
“Mamma, io non ho un iPad! Ma tu le hai lette le istruzioni?” ho azzardato con mal dissimulata angoscia.
“Ancora con questa storia? Ti è venuta una vera fissazione… lo sai che non mi piace leggerle.”
Le istruzioni di elettrodomestici & affini sono un genere letterario che mia madre non prende nemmeno in considerazione: da sempre – non si sa perché – delega me.
Mi sono fatta declamare per telefono l’indice e un paio di capitoli, prima di capire che il problema non era imputabile – almeno questa volta – a problematiche “hard“: nel contratto per la connessione che aveva appena sottoscritto si precisava che l’attivazione sarebbe avvenuta entro 48 ore.
Quando finalmente sono tornata in cucina, il mio impasto aveva già atteso fin troppo. Peccato che io dovessi scappare, per non farmi attendere a un appuntamento. Non avevo alternative: l’ho infilato in frigorifero.
La mattina successiva, al risveglio da quel sonno ibernatore, era tutto intirizzito… diciamo pure mezzo tramortito dal freddo. Però è lievitato a perfezione quando l’ho messo in forma, secondo le prescrizioni della signora T.: una bella pagnottona e tutt’intorno una treccia, per sostenere una cremosa copertura di ricotta, zucchero e uova.
Era così bella quella crema, e così buona – mangiata a ditate (ooops! m’è scappato…) – che devo avere esagerato. Ho visto una meravigliosa cupola alzarsi dentro il forno e poi miseramente sprofondare, man mano che si raffreddava. In questi casi – quando cioè una brioche è tutt’altro che “soft” – la causa è quasi sempre di natura “hard“. Nel caso di specie, la cupola è collassata per evidente sovrappeso dell’intonaco a base di crema (perdonerete – ma immagino comprendiate – i paragoni paraedili… ).
A salvarmi dal senso di totale scoramente è stato quell’avanzo d’impasto che stavo quasi per buttare, tanto era piccolo. L’ho messo in uno stampo che non uso mai perché non mi piacciono tanto quelli di silicone, ma che – date le circostanze – mi è parso l’unica soluzione ai miei problemi: un piano B assolutamente di ripiego.
Mentre vedevo quei due piccoli pandori gonfiarsi in forno come altrettante mongolfiere pensavo che ci vuole sempre un piano di riserva, qualunque cosa accada. Perché non solo non si può sempre vincere, ma addirittura non è necessario. A volte, basta non perdere…
Lo so, detto così sembra uno di quei filosofeggiamenti a vuoto che paiono fatti per darsi delle arie a buon mercato. E invece ci sono momenti nella vita in cui certe sottili distinzioni fanno la differenza: una sostanziale differenza. Perciò non me la sono presa più di tanto per quella brioche sprofondata e niente affatto commestibile (era irrimediabilmente cruda, all’interno). C’erano quei piccoli avanzi dalla silhouette di stella che per me valevano un tesoro.
Così abbiate pazienza se vi confesso che questa non è una vera ricetta di pandoro: è un semplice impasto da brioche, che del pandoro ha giusto la forma e quella spolveratina di zucchero a velo sulla testa… e, ad essere sinceri, nulla di tutto ciò era tra gli esiti prevedibili quando è iniziata questa storia. Che, dal mio personalissimo punto di vista, è stata bella lo stesso, come ogni Natale. Perché quando certe avventure si riesce a non perderle c’è un solo modo per festeggiare: essere grati alla vita, e assaporarla fino in fondo. Fino all’ultima briciola…
IL MIO PANDORO DI BRIOCHE
INGREDIENTI
farina Manitoba: 350 gr
farina bianca 00: 150 gr
sale fino: un pizzichino
latte: 150 ml
uova: 3
burro: 80 gr
zucchero: 80 gr
lievito di birra: 25 gr (1 cubetto)
Mettete le farine e il sale in una grande ciotola e mescolatele bene con una frusta a mano.
Fate intiepidire il latte, scioglietevi 1 cucchiaino di zucchero e il lievito e mescolate bene. Aggiungete 3 bei cucchiai di farina presi dal totale, mescolate finché non avete un composto denso e liscio e lasciatelo riposare in un luogo riparato per una decina di minuti. Non rispondete al telefono (soprattutto se avete una nonna a rischio acquisto di iPad) perché la miscela è particolarmente effervescente…
Sgusciate le uova e separate i tuorli dagli albumi. Montate questi ultimi a neve con tre quarti dello zucchero.
Fate una fossetta nella farina, versatevi il lievito e poi gli albumi montati. Coprite con un velo di farina (senza rompere il “cratere”) e lasciate riposare per 10 minuti. A questo punto aggiungete nella ciotola i tuorli lavorati con lo zucchero restante, e il burro fuso e fatto raffreddare.
Lavorate l’impasto – inizialmente con un cucchiaio e poi a mano – dentro la ciotola. Poi rovesciatelo sul piano di lavoro e dategli 10, anche 12, belle torciture (e ricordatevi di sbatterlo con forza sul piano, più o meno a metà lavorazione). Poi rimettetelo nella ciotola pulita e unta di burro, sigillate con la pellicola, e fate lievitare in un posticino riparato finché non è raddoppiato di volume.
Accendete il forno a 220° e preparate le brioches della forma che volete: anche se non avete uno stampo per piccoli pandori, ci sono svariate altre opzioni. Detto in altri termini: fate in modo di avere almeno un piano B.
Lasciatele lievitare per circa un quarto d’ora (ma se ne fate di più grandi, allungate i tempi) e poi infornate per 10, 15 minuti al massimo. Devono essere appena appena dorate, per restare morbide all’interno.
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La treccia con crema di ricotta..
… verrà sicuramente replicata, prima del prossimo Natale. Nel caso in cui la cupola dovesse reggere al peso dell’intonaco, sarete i primi a saperlo. Ovviamente con ricetta nelle adeguate proporzioni.
Magie di Natale
Grazie ad A., che per la seconda volta ha voluto impastare con me – a cucine unificate, anche se a centinaia di chilometri di distanza – in questa occasione. Lei è rimasta colpita da un post (che fatico sempre un po’ a rileggere) io dalla sua voglia di condividere. Magico potere di un piccolo blog… e del Natale.
Ingredienti: burro-burro salato • farina bianca 0 e 00 • farina Manitoba • latte • lievito di birra • uova • zucchero semolato
Ho letto tutto di un fiato e con il sorriso sulle labbra! Allora non sono l’unica che quando decide di mettere le mani in pasta l’universo decide di intralciarla!
…e che pandoro sia!
E già sei anni luce avanti a me perché non ho ancora avuto la pazienza di preparare un lievitato. E se non avessi lo stampo da pandorino? Bacioni
Rimango sempre più colpita dal tuo modo di scrivere,
a dir poco affascinante. A differenza di altri blog il tuo é davvero ricco di emozioni. Voglio avere la presunzione di dire che di blog pieni di ricette ce ne sono fin troppi, di blog come il tuo ce ne sono pochi.
Complimenti di cuore.
Enrica
Arianna Frasca: Cara Arianna, io amo mettere le mani in pasta proprio perché il lievito fa tutto da solo… ma certo qualche ora di tranquillità ci vuole, per stargli dietro! La “soluzione frigorifero” non è congeniale a tutti gli impasti: devo ammettere che mi è andata fin troppo bene. Ma soprattutto, il senso di questo mio impastare con impegno era un altro, e andava oltre il risultato. Che è stato – almeno per la sua parte commestibile – gradevolissimo, anche in considerazione delle sperimentazioni future! Un saluto e a presto!
Roberta – Il senso del gusto: Mai preparato un lievitato?!? O forse, non hai semplicemente avuto ancora il tempo di prepararne uno in occasione di questo Natale… In ogni caso ti suggerisco di provvedere: perché non c’è cosa più gratificante, in cucina, che dar forma a una pagnotta (che può prendere, beninteso, anche sembianze di grazioso panino o di sfiziosa brioche). Una sola avvertenza: la panificazione casalinga dà assuefazione… Tutto ciò premesso: se ti serve una mano, sono qua! A presto! (spero in compagnia di qualche impasto…)
Enrichetta: Cara Enrica, grazie di tutto cuore per quello che hai scritto: essendo una molto riservata, arrossisco per molto meno… Quanto ai blog pieni di ricette, forse hai ragione tu: ce ne sono davvero tantissimi, ma non credo sia questo il vero problema. Mi sembra invece che ci sia una progressiva spinta alla professionalizzazione (esigenza rispettabilissima, ci mancherebbe, ciascuno fa quello che vuole del suo spazio…) che forse rende meno l’idea di spontaneità che proprio un blog dovrebbe dare. Mi fermo qui: il discorso è senza dubbio più complesso e il terreno è scivoloso… di questi tempi la cucina sta diventando una sorta di nuova religione. E io sono una eterodossa per definizione… Ancora grazie e a presto!
grazie per averci ricordato che alcune volte, ahimè, ci sono sfide che non possiamo vincere e che dobbiamo “soltanto” saper affrontare
gabriella
che goduria il pandorino fatto in casa….segnamo la ricetta!
e vai in cucina sono un po anche io così comincio ma non so mai quando finisco se finisco e cambio lo stato dell’opera mi dico prima o poi dovrò imparare, mi hai fatto molto divertire
gabriella: Cara Gabriella, a ben vedere tutta la vita è una sfida che spetta a noi interpretare nella maniera giusta. Il guaio è che ce ne accorgiamo solo quando le cose prendono – magari all’improvviso – una china non esattamente piacevole… E’ stato in un’occasione del genere che io, abituata da sempre a dare e pretendere il massimo, ho capito che in certi frangenti si può anche essere meno intransigenti: insomma, se uno sta per affogare può anche infischiarsene di nuotare in perfetto stile da olimpionico e limitarsi a galleggiare! Il che non significa che alla prima occasione propizia non possa nuovamente allungare qualche elegante bracciata… Tradotto alle nostre, culinarie latitudini: stavolta l’impasto è stato commestibile solo in parte, ma la prossima prometto una gigantesca briosciona! A presto!
Controtutti: Io ho precisato che quello nello stampo da pandoro era… un impasto da brioche! Giusto per essere precisi, perché non vorrei spacciarmi per una dispensatrice di ricette di pandoro farlocche… Comunque la brioche è buona, molto soffice e utilizzabile in qualsiasi altra occasione (non necessariamente natalizia). E in qualsiasi altra forma. Ciao!
Gunther: Caro Gunter, conosci una cucina vera che non sia funestata da simili incidenti? Io me la cavo sempre con un po’ di sana filosofia: mi dico che saranno proprio queste le giornate che ci ricorderemo! E riprendo a infornare, speranzosa… E’ sempre un grandissimo piacere sentirti. Grazie e a presto!
che avventura, peccato, perché la treccia era bellissima ma anche i pandorini brioche sono molto carini e sembrano morbidissimi!
certo che l’avvertenza “non ci provi da sola” è inquietante 😀
(complimenti a tua mamma, la mia non manda nemmeno sms, ma con le istruzioni è la stessa storia)
Certo un pò di dispiacere a vedere la brioche che crolla, c’è, ma cara Sabrine, mi sento di dirti che il post non sarebbe riuscito così bene se tutto fosse andato liscio.
Inoltre, e non è poco, sei stata coraggiosa a pubblicare la foto del crollo. Molte non l’avrebbero fatto. 🙂
E poi, che bellini i pandorini! 🙂
La mia sfida natalizia in cucina non l’ho ancora scelta, ma devo decidermi, per cercare di far sì che il mio menu natalizio non sia blindato dai miei ospiti, ognuno dei quali ha il suo piatto della tradizione, al quale non rinuncia. Un lievitato? forse, anche se questo 2013 si srotola di gran carriera e il lievito ha i suoi tempi, che non sempre si conciliano con gli impegni di mamma-moglie-figlia-impiegata-nuora-sorella-amica (l’ordine è pramente casuale e costamente variabile). Mi terrò comunque anche una ricetta di riserva, perchè ho imparato anch’io che – in cucina e nella vita – il piano B è sempre utile, anche se, a volte, il piano B lo si scopre per caso, lungo il percorso. Certo, però, che in cucina è più facile e che non sempre io ho la tua saggezza (parola che non rende l’idea..)
Claudette
mi ci voleva un tuo post dopo una giornata come questa! Grazie per i sorrisi che mi regali, sono un dono prezioso.
Sono stupendi!
Io avrei mollato al secondo scampanellamento alla porta… la sfida vera pè stata resistere a tutte le interferenze e riuscire comunque a sfornare due piccole meraviglie… pazienza per quella grande, per il prossimo Natale sarà un successo! 😉
Ho perso ogni ritegno e paura nei confronti dei lievitati. Ho sfidato un Kuglof ultimamente e la prossima sarà proprio un pandoro, con lievito di birra perché l’idea del lievito madre mi terrorizza, un po’ come il Bates Motel che al solo sguardo mi provoca un brivido. Ma avendo vinto diverse volte ultimamente, sono diventata temeraria e mi diverto quando leggo storie come la tua, perché mi ci rivedo in tutto e per tutto.
E comunque, non c’è che dire, hai proprio un bel condominio!
PS – LA brioche con la treccia mi sembra comunque favolosa! Un bacione natalizio, Pat
Meravigliosa come sempre, mi hai fatto ridere, sorridere e riflettere. Non mi cimenterò mai nella preparazione di una cosa così complicata: mia madre, mia nonna e la vicina di casa mi perseguitano regolarmente…sarebbe un suicidio 🙂
Ciao, passa delle belle feste
Viviana
Acquolina: La treccia era bellissima… pareva la coiffure della signora Tymoshenko! Ma certo, farla star su a spruzzate di lacca non è esattamente come avere a che fare con il lievito… La prossima volta vedrò di non esagerare con la crema di ricotta, dopodiché – se non dovesse andare a buon fine nemmeno il secondo tentativo – non mi resta che… la lacca! Quanto a mia madre, è un’autentica forza della natura: e come tale, ogni tanto ha bisogno di incontrare sul suo percorso una diga… in genere sono io. Un bacione e grazie per esserci sempre!
Sugar: La vita – più che il mio post – non sarebbe così esaltante se tutto filasse sempre liscio… Quanto al coraggio nel pubblicare la foto della brioche collassata, beh… questa è una cucina vera: tu conosci una cucina nella quale non accadano anche cose del genere? Ma ci riproverò, con quella brioche, eccome… e vi farò sapere! Per ora tocca accontentarsi della ricetta dell’impasto, che è davvero sofficissimo. Anche se non finisce in uno stampo da pandoro! A presto!
Claudette: Conosco il percorso a ostacoli di una padrona di casa alle prese con le “blindature” al menu degli ospiti: ma a Natale tocca essere più buoni del solito, non solo a tavola! Il tuo 2013 mi fa pensare al mio: srotolato in tutta fretta, come un gomitolo in discesa… esattamente come la nostra vita: tante sfaccettature – ciascuna con le sue luci e le sue ombre – e ce n’è sempre una che finiamo per trascurare (nel mio caso è quella che mi riguarda più da vicino, non so se si possa chiamare “io” ma credo di non raccontarti nulla di estraneo alla tua esperienza, se un po’ ti conosco…). Ricette di riserva (o piano B che dir si voglia): servono, eccome! In certi casi ci si arriva perché costretti (come in quel mio Natale di anni fa), ma se si riesce a prevederle tanto meglio. Il che non significa che non ci si debba – ogni tanto e a piccole dosi – anche arrendere a quello che accade indipendentemente dalla nostra volontà… ma a piccole dosi, per l’appunto. Detto in altre parole: si può anche non stravincere, ma l’importante è non perdere. Un caro abbraccio e un grazie per i tuoi commenti mai banali. A presto
Isafragola: Cara Isa, non mi permetto di chiederti che cosa abbia funestato la tua giornata (ma spero che – almeno in linea di massima, giusto per restare in tema con questo post – vada tutto bene). Però sapere che sono riuscita a farti sorridere mi piace molto… molto davvero… Un bacio al tupi (li fa sempre con piacere i biscotti? perché pensavo proprio a lui questa mattina…). E grazie per la tua – preziosa – presenza qui
Strawberry: Ma sai, il merito della forma carina… era tutto dello stampo! Anche se l’impasto è di quelli soffici soffici, se non lo si cuoce troppo. Le interferenze a colpi di campanello o di squilli del telefono? Nulla, in confronto a quelle che a volte ci riserva la vita… Per questo anche quei pandorini me li sono fatti andare bene. Quanto alla brioche con la treccia, ci riproverò con meno crema. Ciao!
Patty: Hai fatto bene a non lasciarti intimorire dal lievito! Basta conoscerlo un po’ e assecondarlo e… fa tutto da solo! Il lievito madre è un po’ troppo complicato da gestire, per i miei gusti (sono sempre in giro, non potrei proprio…) e trovo che il lievito di birra – un tantino bistrattato dai panettieri scicchettosi… – possa andare benissimo in ogni caso. Quanto alla ricetta, occhio: non ti aspettare un impasto da pandoro! Questa è una brioche: soffice, leggera, ma non un pandoro. Ecco, volevo solo lo sapessi per non crearti aspettative che non sarei in grado di corrispondere (ci tengo, a non far perdere tempo alla gente…).
Quanto al condominio, non mi posso lamentare: non ci si annoia, ma sono tutti simpatici (e quelli che non lo sono fino in fondo, li si gestisce tranquillamente con un po’ di spirito…). Un saluto pre-natalizio! (avremo occasione di farci gli auguri per bene)
Bianco Antico: Cucinare, ridere, infornare, sorridere, sfornare, riflettere… mi piace il ritmo di questa mia piccola cucina! Quanto alla ricetta, non è poi così complicata: è una brioche che prevede l’uso di uova montate: tutto qui. Certo, se non c’è una processione davanti al campanello, va decisamente meglio… A presto!
che bella idea!!! complimenti!!!
ericaswelt: Grazie Erica. E benvenuta in questa piccola cucina!
Che ridere, anche io non amo quel genere letterario.e anche io ogni anno mi cimento nell’impresa incerta…del panettone, solitamente. e senza piano b. ma hai davvero ragione, alle volte non serve vincere, basta non perdere…ci si rende conto poi di quanta fortuna si ha avuto…non vedo l’ora di sapere della treccia , della cupola e della crema di ricotta!
Il lievito madre… se lo conosci lo eviti. Io che ho sempre impastato con gran gioia e gran soddisfazione da quando ero bambina e la nonna mi faceva giocare con acqua e farina, ho trascorso in balìa del lievito madre il mese più angosciante della mia vita. Si trattava di un lievito madre antichissimo, più che centenario, portatomi in dono da una mia amica sicula la cui famiglia ne è l’orgogliosa proprietaria da non so quante generazioni. I primi giorni ero felicissima, ma poi mi sono resa conto che la mia agenda, i miei spostamenti, perfino l’organizzazione della mia vita sociale, ruotavano intorno a quel despota che esigeva rinfreschi su rinfreschi. Con buona pace della trisnonna della mia amica, ho giustiziato il lievito madre e sono tornata al mio caro lievito di birra che, con dosi minime e lunghe lievitazioni, fa egregiamente il suo lavoro e mi consente di partire per il fine settimana senza farmi prendere dai sensi di colpa.
Che questa sia l’ennesima coincidenza? Oh-la-la!
Cara Sabrina,
come sai faccio un lavoro in cui sono costretta a occuparmi di affari altrui… e capita di tornare a casa con qualche pensiero di troppo! Il pandoro è l’ideale per farli passare e ricordarsi che non tutto nella vita riesce solo per nostra volontà :-).
Il tupi è in gran forma, sta imparando a nuotare e mangia sempre più biscotti. Come mai lo hai pensato? Qualcosa di buono nel tuo forno?
Conosco la meravigliosa sensazione di riuscita di un lievitato e la frustrazione di uno venuto male. Ma ciò che più condivido è l’idea di un piano B che non valuto come un ripiego o una consolazione ma come un modo meraviglioso di guardare alla vita. Tu sei fantastica, come sempre (e che non si pensi che sono una dai complimenti facili). 🙂
Cara Sabrine, foto strepitose!
Cosa ci riserverai per Natale?
Un abbraccio.
Paolo
Sei sempre divertente Sabrine… è un piacere leggerti! Comunque a me, la cupola, anche un po’ sprofondata , piace :)) Buone feste!
ahahaah è stato uno spasso leggere quest’avventura… con tutto il rispetto epr il piano B che è riuscito egregiamente, io vorrei andare un attimo a scavare sotto la crema per tuttfarmi in quella cupola che a me piace assaissimo!!! un bacione
Buon Natale Sabrine!
Valentina
Che bel blog!Complimenti e buon Natale,
Katia
io quel post ce l’ho sempre in mente!
Buon anno, cara Sabrine!
Que altura y esponjosidad! dan ganas de comerlo.
Un saludo
Blanca de JUEGO DE SABORES
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Complimenti per il Blog e le magnifiche ricette e fotografie ! Lisa
Buongiorno,
vorrei sapere con le dosi di questa ricetta quanti pandorini vengono, o comunque per un piano B, uno stampo da che capacità serve. Grazie