La crostata vegana di prugne e noci
Li avevo piantati con tutto l’amore possibile quei cinque gelsomini. Un fondo drenante, terriccio del migliore, e tante carezze (lo so, si passa da strampalati a raccontare queste cose, ma a me le piante danno retta solo se le tratto con gentilezza…). Due erano finiti nei vecchi vasi toscani, reperti di famiglia che ci hanno accompagnato in varie case. Gli altri nelle vasche di zinco consumate dal tempo, che Hervè mi vende a più riprese (ogni volta che mi vede comparire mi grida: “Votre terrasse?!? Encore? Oh-la-la!” e mi stampa tre baci sulle guance).
“Ma è proprio necessario passare il giorno di Pasquetta a fare giardinaggio, mentre gli altri sono al mare?” mi aveva detto mio marito rimirando il terrazzo ridotto a un campo di battaglia.
“Certo! Così le nuove piante hanno il tempo di assestarsi e fare conoscenza con le altre. Quest’estate vedrai che meraviglia… t’immagini che bello, bersi una cosa al ritorno dalla spiaggia avvolti da questo profumo?”
Non l’avevo convinto, ma l’idea degli aperitivi al gelsomino l’aveva ridotto alla rassegnazione.
In tutti questi mesi quei rampicanti sono stati oggetto di ogni mia attenzione, e se non fosse che non ci tengo affatto a passare da gallina, direi – senza tema di smentita – che li ho covati con amore. Ho persino costretto il Gran Corbezzolo a voltarsi dall’altra parte, per lasciare che gli ultimi raggi di sole della giornata fossero tutti loro. Il viburno s’è offeso un po’ per via del cambio di posizione, il melo si è appena intristito per essere stato relegato in un angolo appartato, e il limone si è fatto attendere prima di sfoggiare la sua livrea di foglie nuove. Ma alla fine, i gelsomini sono definitivamente stati accolti dalla frondosa tribù del mio terrazzo: non più ospiti, ma titolari di un ambito posto in quell’intrico di verde e fiori che chiunque transitasse di là non poteva fare a meno di ammirare. E anche se non ci siamo mai sognati di ritornare dalla spiaggia prima che fosse sera, nessuno ha avvertito la mancanza degli aperitivi olfattivamente inebrianti: ci bastava quel verde, che nemmeno la fine dell’estate aveva reso meno rigoglioso.
In nostra assenza, il bollettino vegetale mi arrivava puntuale il lunedì, via sms dalla custode. Sapevo da lei che i rami si erano “lungati” e poi “torcinati sui feri”, che erano spuntate “fogliole” nuove e che l’effetto della seconda fioritura di lavanda era “stupento”. Insomma: tutto andava nella giusta direzione. Finché un giorno ricevetti invece una telefonata. Era di giovedì: foschi presagi presero ad aleggiare sul mio immediato futuro…
“Signoraaa! (non è un refuso, è lei che urla sempre) Il terrazzo è tutto giallo e sulle “fogliole” c’è una specie di neve: venga subito che qua muore tutto!”
“Ma l’altro giorno non mi ha scritto che era tutto perfetto?”
“E adesso no. Non so cos’è successo, ma non c’è più una foglia verde!”
Mi è venuto un mezzo colpo. Non c’era alcun verso di capire cosa stesse succedendo per davvero: l’unica cosa certa era che un morbo misterioso mieteva rami e foglie a ritmo da vertigine.
Così, complice un’assemblea condominiale di quelle alle quali cerco sempre di bigiare, sono partita. Al mio arrivo, il terrazzo sembrava un campo vietcong dopo un’innaffiata americana di Agent Orange: giusto un defoliante militare avrebbe potuto produrre quegli effetti.
Sono stati giorni di fuoco. Anzi, per amor di precisione, giorni di ferro liquido, alcool e sapone di Marsiglia. Tanto è servito per contrastare quel flagello biblico: una clorosi violentissima associata a un’infestazione di mosca bianca di proporzioni spaventose. Abbiamo eliminato i parassiti uno a uno, ma non riuscivo a spiegarmi l’insorgere improvviso di tutti quei sintomi nefasti, fuori stagione. “Va bene la mosca bianca – mi dicevo – è colpa dell’umidità. Ma queste foglie fulminate dalla sera alla mattina?”
A volte capita che le spiegazioni arrivino anche senza cercarle: né più né meno come i flagelli biblici.
All’assemblea si è presentato il proprietario di una piccola soffitta, un tipo che da quando ha messo piede nel palazzo non trova pace e non ne fa trovare. Io, in virtù del mio terrazzo che gli piace così tanto, sono la sua vittima preferita. Ha iniziato col tempestarmi di telefonate perché voleva trapiantare un ulivo vicino all’ascensore, poi ha partorito un progetto anti-ladro che avrebbe trasformato il palazzo in Fort Knox, infine s’è invaghito dei vasi di Hervè e pretenderebbe che gli svelassi il suo indirizzo (naturalmente mi guardo bene dal farlo, certa che non mi stamperebbe più tre baci con lo schiocco sulle guance). Tra una molestia e l’altra, per darmi un segno tangibile della sua esistenza, ha provveduto a sforacchiare a casaccio ogni possibile superficie nel tentativo di trovare l’inclinazione giusta a certi suoi tubi di scarico: naturalmente, il tutto sopra la mia testa.
Stavolta ha offerto al consesso di condomini un’esibizione di virile sprezzo del pericolo. Convinto da “un amico che di queste cose se ne intende” che certi piccoli puntini, depositati qua e là nel cortile, fossero da attribuire a una nidiata di ratti grossi come felini, si è prontamente messo a caccia. Li avrebbe scovati, a suo dire, un sabato al tramonto, sotto la cisterna dell’acqua condominiale. “Non sono sceso sottoterra ma li ho sentiti distintamente!” ha spiegato, mentre un paio di signore si accasciavano sulla sedia al solo udire certe sue descrizioni.
Così è corso in farmacia, si è fatto dare una pozione capace di fulminare ogni genere di microbi e batteri e l’ha gettata nella cisterna…. Gli è sfuggita un po’ la mano con le dosi, ma del resto lui è un tipo generoso di sé: non si risparmia.
Hanno appurato che la pozione sterminatrice era in quantità tale da servire almeno un altro paio di cisterne. Per fortuna nel palazzo ci sono quasi solo uffici: i ragazzi dell’ultimo piano bevono birra e acqua minerale (in quest’ordine, per loro ammissione) e il vegliardo professore del secondo è quanto di più inossidabile si possa immaginare. Uniche vittime accertate della tentata strage le mie piante: corbezzoli, viburni, lavande e gelsomini si sono spelacchiati in men che non si dica. Su quei poveri scheletri, la mosca bianca ha avuto gioco facile.
Ho avuto per qualche settimana il terrazzo ridotto come il delta del Mekong, ma nonostante ciò in cortile hanno continuato a comparire qua e là quei piccoli puntini. Hanno scoperto che sono opera dei gechi, che si rincorrono di sera sui muri ancora caldi per il sole. Nessun topone delle dimensioni di un gatto è mai stato avvistato nei paraggi. In compenso, annidati dentro l’ennesimo carotaggio a vanvera, sono ricomparsi i piccioni. “Non si preoccupi signora – mi ha detto l’altro giorno tutto sussiegoso – ho già consultato un amico ornitologo…”
Non mi ci è voluto molto per immaginare il seguito: un dispiegamento di forze che avrebbe cancellato ogni forma di vita nel quartiere. Così l’ho amabilmente diffidato dal compiere altri atti delittuosi ai danni della comunità, e in cambio gli ho promesso un paio di secchi di zinco, la prossima volta che passerò da Hervè (baci con lo schiocco assicurati!). Adesso che ci penso, farei bene a suggerirgli di piantarci qualche esemplare carnivoro: non si sa mai, nel caso quei famelici ratti dovessero salire fino alle soffitte…
In attesa che lui consulti un amico botanico (ne avrà almeno uno, se tanto porta tanto) me ne sono tornata in città. Il cortile del palazzo mi è sembrato un paradiso: la portinaia col grembiule blu che mi chiama al plurale (“Ci so’ mmuort’ tutt’e piante? Poooverine!!”), le ortensie nel frattempo diventate rosa cipria, gli sbuffi di polvere dallo scalone che stanno restaurando. Una normalità ben lontana dalla perfezione ma decisamente rassicurante: comprese le zanzare, la pioggia a catinelle, l’agenda che piano piano si riempie. E una crostata.
Non riesco più a smettere di farla, da quando ho ripreso a cucinare. Tanta frutta, un nonnulla di zucchero, un filo d’olio e un po’ di marmellata: nessuna inquietudine dietetica a turbare i miei giorni. Solo una preoccupazione di natura idrica. Ci sono 8 cucchiai d’acqua di rubinetto nell’impasto: vorrei accertarmi che non ci sia un avvelenatore di pozzi anche in questo condominio…
Saluti e baci (stavolta con lo schiocco e in numero di tre),
S.
LA CROSTATA VEGANA DI PRUGNE E NOCI
INGREDIENTI
per la pasta:
farina bianca 00: 150 gr
farina integrale di grano: 100 gr
sale fino: 1 pizzico
lievito per torte: mezzo cucchiaino da caffé
zucchero di canna: 1 cucchiaio
olio di semi di girasole: 6 cucchiai
acqua fredda: 8 cucchiai
per il ripieno:
prugne viola: una decina (non troppo mature)
gelatina di mele: 4 cucchiai
noci: 20 gherigli
Accendete il forno a 180° e imburrate uno stampo da crostata da 20 cm di diametro. Lavate e asciugate le prugne.Mettete tutti gi ingredienti asciutti nel mixer e fatelo andare per qualche secondo. Aggiungete l’olio e l’acqua e lavorate a brevi intervalli, finché il composto non diventa un briciolame (vedete di non lavorarlo troppo, perché si scalda e la vostra crostata rischierebbe una consistenza tutt’altro che friabile… insomma, vi scapperebbe fuori dura come un sasso).
Rovesciate il briciolame sul piano di lavoro, compattatelo senza impastarlo (anche perché non ci riuscireste…), e stendetelo appena con il mattarello. Avvertimento: scordatevi uno di quegli impasti elastici, che diventano una sfoglia perfetta con la quale potete esibirvi con gesti da chef professionista a rivestire uno stampo a perfezione. Usate il mattarello quel tanto che serve ad assottigliarlo un po’, infischiatevene di buchi e crepe e trasferitelo così com’è (diciamo “rustico”…) nello stampo, finendo di stenderlo a colpi di dita.
Rovesciate l’eccesso verso l’interno, pizzicandolo alla bell’e meglio per dargli una parvenza di crostata seria (potete anche segnarlo con i rebbi di una forchetta).
Distribuite sul fondo un cucchiaio di gelatina di mele, e poi le prugne tagliate a metà, e private del nocciolo. Distribuite il resto della gelatina mettendone una piccola quantità sopra ogni prugna, infilate le noci dovunque vi sembra che stiano bene, e infornate subito.
Cuocete la vostra crostata per 45 minuti, un’ora al massimo. Lasciatela intiepidire prima di tagliarla. Questa è una crostata che migliora con il passare del tempo: se non siete in una di quelle giornate così calde che fanno irrancidire la crema nei bigné, lasciatela lì per qualche ora e date al succo delle prugne il tempo di infilarsi in ogni minuscola crepa della crosta… una delizia! Sappiate che il giorno dopo, e quello dopo ancora è migliore.
POSTILLA
Grazie a tutti quelli che mi hanno scritto in queste due settimane: risponderò a ciascuno, fino all’ultimo messaggio! Ma siccome spesso lo faccio di notte e m’impappino, credo di aver perso (o erroneamente cancellato) alcune mail. Una in particolare mi aveva colpito: parlava della mia rigorosa discrezione e delle sue motivazioni. Se per caso non la ritrovassi più, vorrei che la persona che l’ha scritta sapesse che mi ha fatto tantissimo piacere… mi sono sentita compresa.
Ingredienti: farina bianca 0 e 00 • farina integrale • gelatina di mele • lievito per dolci • noci • olii di semi • prugne (anche secche) • zucchero di canna
poco meno di due anni fa, quando aspettavo la mia bimba, avevo una gran voglia di frolla all’olio d’oliva, una crostata rustica e fruttosa. bè, non riuscìi a trovare una ricetta decente. ed ora eccola! è lei, è quello che volevo allora e che adesso mi rapisce ancora con la stessa intensità!
Cara Valentina, spero allora che questa frolla (o “crosta” come a me piace chiamare queste cose rustiche…) sia nelle tue corde! L’impasto è di quelli che puoi usare tanto per ripieni dolci che per ripieni salati, e credo tu possa tranquillamente sostituire l’olio di girasole (che io uso perché non lascia in giro sapori e profumi troppo accentuati) con quello d’oliva. Quanto all’essere “fruttosa” dipende da te! Io continuo a farla – da settimane – con le prugne, che si avviano a finire però. Credo tu le possa sostituire con altra frutta e lasciarti “rapire con la stessa intensità”… Ciao Valentina!
Cara Sabrine, io di gelsomino ne ho uno solo ed è il regalo – fortissimamente desiderato, che mio marito mi ha fatto per la nascita di mio figlio, la Pulce, fortissimamente desiderato anche lui ed arrivato quando ormai ero considerata come Santa Elisabetta che tutti dicevano sterile.
Il mio gelsomino cresce e si allunga come la Pulce e ogni anno ci regala un profumo inebriante nei primi mesi dell’estate. Ci sarebbe dovuto essere anche un glicine, ma questa è un’altra storia.
Un’altra storia ancora, ugualmente profumatissima (e si sente fino qui) è la tua torta che però in questo momento non posso preparare: da me le prugne non ci sono più……rinvio fino all’estate prossima.
Un abbraccio e un augurio al tuo gelsomino
Claudette
Cara Claudette, avere una pianta che cresce in parallelo con un figlio dev’essere bellissimo: un simbolo di tenacia e d’amore. A me non è successo, e lo rimpiango: mi sarebbe piaciuto… Ciononostante ai gelsomini non rinuncio, anche se in parallelo a crescere sono le mosche bianche e non una graziosa Pulce scritta con la maiuscola! Nell’attesa delle prugne nuove – e delle fioriture dei rispettivi gelsomini – ti abbraccio e ti ringrazio per questo commento. Un saluto al gelsomino (parzialmente ri-fogliato). A presto!
Le prugne sono il frutto preferito del tupi. Se le fa regalare dal nostro verduraio di fiducia ogni volta che andiamo al mercato. Ora per; le posso sostituire con un altro frutto? Una carezza al gelsomino.
Cara Isa, questa “crosta” ha iniziato il suo percorso in casa mia accompagnata dalle prugne e credo andrà avanti così fino all’ultimo cestino sul banco del fruttivendolo… il che – temo – avverrà prestissimo, data la stagione! E’ una crosta molto rustica e mi verrebbe da dire che ha bisogno di frutta capace di produrre un bello sciroppo, una volta in forno, senza disfarsi del tutto. Mi vengono in mente le albicocche, ma anche qui… stagione sbagliata! Però potrei provarci con mele e pere, di certo aiutate da qualcosa che le aiuti a tirar fuori l’anima sciropposa nascosta (una lunga sosta sotto zucchero, per esempio, e poi una crema che le avvolga un po’). Oppure con un sacco di verdure – quelle sì di stagione! – con le quali andrebbe a braccetto senza problemi… insomma: vediamo chi per prima trova la soluzione! Un bacio a quel giovanotto che si rifiuta di mangiare biscotti a forma di fiore, ciao!
Sabrine, ho seguito la nascita del tuo nuovo blog e ho letto del tuo libro. Poi ho deciso di comprarlo per il passaparola virtuale della rete. Che dire, tutto molto bello! Non so sei veramente una signora milanese come ho sentito al Tg4 ma di certo sei una signora di altri tempi.
Caro Paolo, felice che “Fragole a merenda” sia anche in casa tua (… mi chiedo: in cucina?), e soprattutto che ti piaccia. Quanto all’essere una signora d’altri tempi, beh… in effetti non sono una fanciullina! Un caro saluto dai miei tetti (che il Tg4 non conosce…)
Eccolo qui il racconto che aspettavo: portinaie, custodi e personaggi pittoreschi… c’è tutto. Anche la “crosta”. Per la quale personalmente cercherò un adattamento “verduroso”.
Cara Barbara, la crosta con adattamento verduroso sarebbe molto nelle mie corde… insomma, se ci provi batti un colpo! tanto qui siamo tutti abituati: al massimo la portinaia ti scambierà per Agostino… Un abbraccio!
L’ho fatta proprio domenica scorsa sostituendo le albicocche alla ricetta del tuo libro:ottima. E sopratutto ho scoperto che fare la gelatina di mele è facile, certo devo stare un po’ più attenta con i tempi di cottura ma in ogni caso il risultato è davvero eccellente. Mi dispiace per le tue piante, io ogni volta che una delle mie muore ci rimango malissimo.
Bion fine settimana
gabriella
Cara Gabriella, la gelatina di mele è una delle più semplici e divertenti da fare: ci devi solo prendere la mano, e una volta fatto tuo il metodo anche con i tempi di cottura riuscirai a regolarti facilmente! E scoprirai che è buonissima indipendentemente dalla crostata di turno… Un caro saluto!
Lovely! Can’t wait for the updated crust recipe.
Thank you!