Gelatina di mele

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Gelatina di mele

Mio marito sostiene che io sia troppo “trasparente”: nel senso che non so dire le bugie. E siccome quando non ho talento per qualcosa cerco di dedicarmi ad altro, non coltivo neppure l’arte di raccontarle.

“Ma perché mai devi dire sempre quel che pensi!” si dispera dopo certe mie uscite al fulmicotone. “Qualche bugiettina di tanto in tanto, di quelle a fin di bene, non potresti raccontarla pure tu?”
E allora io regolarmente prometto il massimo che mi riesce di fare, in certe situazioni: cioè tacere.
“Peggio!” si arrabbia lui. “Lo sai benissimo che hai la faccia che parla…”.
Devo ammettere che ha ragione. Eppure non è stato sempre così: all’inizio della nostra storia lui ha pensato che io fossi una raccontafrottole. Di prim’ordine, per giunta.

Fine settembre: era il nostro primo appuntamento a due. Essendo lui uno studente fuori sede non automunito, mi ero offerta io di raggiungerlo per cena. In epoca pre-cellulare gli appuntamenti erano – di necessità – precisi: otto e mezza, in pieno centro, destinazione uno di quei ristorantini d’atmosfera nei quali si rischia di entrare da amici e uscire fidanzati. Nessuna possibilità di annunciare un eventuale ritardo. E infatti io mi ero preparata per tempo, e avevo percorso quei venti chilometri con serafica lentezza: con la testa fra le nuvole, godendomi il panorama e quel cd che mio fratello aveva lasciato su mentre mi consegnava le chiavi della macchina e mi diceva: “Mi raccomando…”

In genere è mio marito che inizia a raccontare questa storia, e regolarmente con le stesse parole:
“Ero lì da tre quarti d’ora e mi ero convinto che non sarebbe più venuta: ormai stavo aspettando l’autobus. Quando all’improvviso la vedo da lontano, elegantissima che pareva Lady Diana: correva come una pazza. Stavo immaginando cosa mi avrebbe raccontato per giustificarsi. Ero pronto a una di quelle classiche scuse, del tipo “c’era un ingorgo” oppure “mi è scappato il cane”… E invece lei arriva, tutta sudata e rossa in faccia, e mi dice: “Mi sono incastrata tra due alberi col surf…”

Io me la ricordo ancora benissimo la sua espressione stralunata, mentre cercava le parole senza trovarle.
“?!?”
“Senti, mi dispiace moltissimo per il ristorante, ma io devo tornare subito al parcheggio: ci sono tre signori che mi aspettano, e ho garantito che avrei portato il quarto…” gli dissi mentre giravo i tacchi.

Lui mi seguì: sulla fiducia. Non aveva capito niente di quel che era successo (ne aveva ben donde…), e riusciva a malapena a starmi dietro mentre fendevo a ritroso la folla dell’ora del passeggio. Solo ogni tanto azzardava una domanda, prudente e trafelato.
“E’ stato un incidente?”
“Nooo… ero al parcheggio” e dribblavo un passante.
“Hai lasciato un surf in un parcheggio?!?”
“No, ci ho lasciato la macchina… Piuttosto: spero che in cinque riusciamo a tirarla giù…” e acceleravo il passo.
“Giù?!? E da doveee?” gridava lui qualche metro più indietro.
“Faccio prima a fartelo vedere.. Dài!…”
“E se quelli non ti hanno aspettata?”
“Impossibile! Vedrai che saranno ancora lì…” gridavo correndo.

Infatti c’erano: tutti e tre. Più due vigili, un parcheggiatore, l’edicolante, e un nutrito capannello di curiosi. Tutti a bocca aperta davanti alla visione di una Renault sospesa a venti centimetri da terra. Per essere precisi: di un surf incastrato tra i rami di due alberi, attaccato mediante un porta-surf a una Renault sospesa a venti centimetri da terra. I passanti si fermavano per chiedere spiegazioni. Alcuni elaboravano fantasiose teorie contrarie a ogni legge della fisica.

Mi feci largo e mi presentai ai vigili in qualità di artefice di cotanto, mirabolante spettacolo da circo: ebbene sì, ero stata io e non un mago Silvan qualsiasi a far levitare quell’auto. Non era stato poi così difficile: mi era bastato dimenticarmi di avere sul tettuccio una tavola che eccedeva le dimensioni della carrozzeria. E concentrarmi su quel parcheggio entro le righe gialle disegnate a terra, tra quei due tronchi con radici così grandi da sollevare l’asfalto… e chiome così avvolgenti da catturare l’estremità del surf di mio fratello e trascinare verso l’alto anche l’auto. Me n’ero accorta dopo un paio di manovre, quando quella piacevole sensazione di aver la testa tra le nuvole si era estesa al resto del corpo: e infine al mezzo di trasporto. Partita da casa con il cuore leggero, ero arrivata a destinazione che nemmeno la forza di gravità riusciva più a tenermi coi piedi per terra. E poi dicono che l’amore non fa volare alto…

Per fortuna era l’ora del passeggio. E per fortuna quella era una città di mare. L’edicolante aveva due amici scaricatori di porto, due che come me sfidavano la gravità: ma per mestiere, e a forza di braccia. Ci vollero sei volonterosi energumeni e un buon quarto d’ora per disincagliare la macchina dai rami. Avendo già fatto abbastanza, mi limitavo a osservare. Consideravo le somiglianze tra quel povero surf, che mai si sarebbe aspettato di lottare con i rami di un albero anziché con le onde, e quel poveretto riservato e schivo catapultato al centro di un capannello di curiosi in qualità di accompagnatore di una domatrice di automobili… Però, in fondo stavano entrambi vivendo un’esperienza straordinaria e inattesa: grazie a me. Che ero ancora vestita come Lady Diana, ma con una patacca di pneumatico sull’abito di seta.

Finì che ci arrivammo con un’ora e mezza di ritardo, in quel ristorantino: entrammo da amici. Quando ne uscimmo, avevo già preso in considerazione l’idea di soprassedere su un certo orripilante soprabito a forma di sacco che gli piaceva portare con disinvolta baldanza.

Quanto a lui, deve aver pensato che fossi una ragazza irresistibile: due anni dopo ero sua moglie.

S.

GELATINA DI MELE

INGREDIENTI

mele: 1.5 kg (del tipo che preferite, purché non trattate)
zucchero semolato: 200-250 gr
limoni: 1

Lavate molto bene le mele e tagliatele in grossi pezzi (diciamo in otto spicchi, che poi dividerete in due o tre parti ciascuno), senza sbucciarle né eliminare semi o picciuoli.

Mettetele in una pentola d’acciaio e copritele di acqua fredda (un po’ meno che a filo, diciamo un centimetro sotto le mele). Non importa se la vostra pentola è larga o stretta, se ha i bordi alti o bassi: l’essenziale è che le mele stiano ben compatte tra loro, senza galleggiare, e che il livello dell’acqua stia di poco sotto quello della frutta.

Fate cuocere a fuoco vivace e senza coperchio finché le mele non sono tenere ma non disfatte: ci vorranno circa 30-40 minuti (dipende dalla frutta che avete scelto).

Scolate le mele aiutandovi con un setaccio fine: raccogliete il liquido in una ciotola, metteteci sopra il setaccio con le mele dentro e lasciate scolare tutto il succo per benino, senza esercitare pressione sulla frutta.

Dopo qualche ora, rimettete il succo di mele nella pentola, fatelo bollire ancora 10 minuti (serve a concentrarlo un po’ di più) e poi pesatelo: dovreste averne circa 650-700 gr a questo punto.

Pesate una quantità di zucchero equivalente al 30% del peso del succo di mele (ad esempio, per 700 gr di succo vi serviranno 210 gr di zucchero, per 600 gr 180 di zucchero, e così via…)

Spremete il limone e filtrate il succo.

Aggiungete lo zucchero e il succo di limone al succo di mela e continuate a far bollire a fuoco vivace per 15-20 minuti. O finché la prova piattino non vi dirà che la vostra gelatina è della consistenza giusta: cioè compatta, ma non troppo solida… gelatinosa, insomma.

Versatela in un vaso da marmellata finché è ancora bollente e lasciatela raffreddare. Si conserva per qualche settimana in frigo, coperta da una pellicola trasparente

POSTILLE

Non è una gelatina se non è trasparente
Il piacere di una gelatina deriva non solo dal profumo e dal sapore (e questa di mele è imbattibile su entrambi i fronti) ma anche dalla sua limpidezza, da quella consistenza gelatinosa e trasparente che la rende – appunto – gelatina. Perciò dovete far attenzione a un paio di cosette:
1. non cuocete le mele troppo a lungo, altrimenti si disfano perdendo pezzetti qua e là nell’acqua
2. quando le mettete nel setaccio, evitate di schiacciarle col cucchiaio per estrarne il succo più in fretta: rischiereste solo di far passare dalle maglie dei pezzetti di polpa.

Se non avete un setaccio fine…
…compratevene uno. A meno che non abbiate quel retino col supporto che gli americani usano per far scolare il succo della frutta cotta. Non esistono molte alternative a questi due sistemi se volete ottenere una gelatina di mele perfettamente trasparente.
Per la verità ci sarebbe il sistema della garza o dello strofinaccio pulito, ma funziona un po’ meno. E solo a patto che non abbiate usato l’ammorbidente…

Cosa fare con la gelatina di mele?
Avete solo l’imbarazzo della scelta. Esattamente come la gelatina di melagrana, potete godervela sia in versione dolce (pane e burro salato) oppure come accompagnamento a cacciagione e carni arrosto (una cosa un po’ “nordica”, ma molto, molto buona…).

Altre ricette di frutta spalmabile:
gelatina di melagrana
marmellata di corbezzoli
la marmellata di finte mirabelles
marmellata di fragole allo zucchero scappato