Siete avvertiti: questo è un post pigro. Niente storie di fantasmi, né avventure con tassisti, né aneddoti surfistici. Neanche l’ombra di un pennello, o sentore di cere e trementina. Oggi ho deciso che sto ferma.
Non vi capita mai di sentirvi svuotati e leggeri? Perché è così che mi sento stamattina… Intanto perché sarei in una quasi-vacanza: lontana dalla città, dai suoi ritmi e da quegli orribili scatoloni che mi perseguitano da mesi (a proposito: libreria finita, quando torno la riempio e magari ve la presento). E poi perché tanto qui, anche a voler lavorare, non ci si riesce. C’è un ritmo lento nell’aria che avvolge tutto e tutti, una specie di generalizzata e stravagante apatia, quasi la consapevolezza che lavorando a pieno regime ci si possa far del male…
Ci metto almeno un giorno, ogni volta che arrivo, a ricordarmi che a queste latitudini nemmeno l’orologio è una certezza. Il tempo ha misure variabili a seconda che piova o splenda il sole, che si incontri un amico per strada o che ci sia una notizia di cronaca da commentare al caffé.
Qui basta un nonnulla per far saltare un appuntamento. E se volete avere un’idea più precisa del genere di “nonnulla”, immaginate un apprezzato artigiano che vi dice: “Mi scusi, ma non posso più venire questo pomeriggio: devo cucinare le fave”. Perché le fave, come gli asparagi selvatici, il cinghiale e l’agnello da latte sono una specie di calamità naturale da queste parti: se ve le regalano, non potete che restarvene a casa a cucinare. Fa niente se c’è qualcuno che si è fatto centinaia di chilometri per conferire con voi: non è mica colpa vostra se le fave ve le hanno regalate proprio oggi…
Ecco, ditemi voi come potrei aver voglia di fare qualcosa di più che sfornare biscotti, in questo posto dai ritmi tutti suoi: che diventano anche i miei quando decido di lasciarmi contagiare.
E oggi ho deciso: di vivere un po’ alla giornata, di fare quello che mi pare, di sentirmi felice e scioperata, di guardare le rondini volare, di leggere a piedi nudi sul divano col sole che mi scalda le pagine e anche il cuore, mentre fuori la banda fa un rumore di trombe e di flicorni e i bambini contano i giorni che mancano alla scuola, e sorridono al ragazzo della giostra a pedali… (scusate le rime: è che quando sono sovrappensiero mi scappano)
Mi piacerebbe esserci anch’io su quei bizzarri cavalli di manici di scopa e copertoni: ai miei tempi mica ce n’erano di giostre così chic. Mi consolo tirando fuori dal cassetto quello stampo nuovo di zecca, grazie al quale i miei biscotti diventano rondini e spiccano il volo… e io con loro.
S.
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