La mia amica, asciutta e sobria dalla punta dei capelli a quella delle scarpe, si è finalmente comprata un lucidalabbra. “Sai – mi ha confidato con aria poco convinta – l’ho dovuto fare perché ho regalato una giacca blu a mia figlia”.
Questa bambina ha gusti molto decisi in fatto di abbigliamento: a sette anni non esce di casa se non è vestita di rosa. La sua tonalità preferita è quella che lei definisce “fucsian”: che poi sarebbe il rosa shocking delle cingomme o – se preferite – del rossetto della Barbie (qualcuno se la ricorda ancora? Adesso sarà pure lei una vecchia bacucca…).
Sicché tra noi – che invece ci vestiamo entrambe di blu – quella del “fucsian” è diventata una specie di divertente gag: nell’ora in cui gli unici negozi aperti in questa piccola città sono un franchising di intimo e un magazzino di abiti low-cost, ci divertiamo a curiosare tra gli scaffali e capita che ne usciamo divertite con qualche maglietta (e – lo confesso – addirittura un paio di culottes…) color “fucsian” nella borsa.
Non avendo l’ardire (né l’età) per certe fanciullesche frivolezze, le uso come pigiama. Persino mio marito se n’è accorto.
“Ma adesso ti piace il rosa acceso?”
“No, però mi fa tanto ridere…”
Intanto in famiglia – tutte persone di assoluta e riconosciuta sobrietà – si chiedono da chi la bambina possa avere ereditato certi gusti. Lei, incurante, continua a farsi comprare cerchietti con vezzose piume, magliette con luccichini e scarpe coi fiocchi: rosa, naturalmente…
Perciò, in cambio di un’austera giacchetta blu la mamma ha dovuto dimostrare di essere all’altezza: e ha finalmente sfoggiato delle labbra un filo più brillanti del solito.
“Se n’è subito accorta: le si sono illuminati gli occhi e mi ha detto che ero bellissima…”
Così abbiamo dovuto ampliare i nostri orizzonti in fatto di shopping: nell’ora della siesta cittadina, facciamo la nostra pausa con un kebab mangiato al sole per strada, dopo di che ci dirigiamo verso un negozietto nuovo di zecca che vende trucchi per ragazze.
Passiamo in rassegna l’espositore degli ombretti e quando costano tre euro ce ne compriamo uno. Ce li avrebbero anche “fucsian” (persino nella versione con luccichini), ma non siamo mai andate oltre il blu.
Per quanto… sarei proprio curiosa di sapere cosa direbbe mio marito se mi vedesse arrivare a letto con dell’ombretto color cingomma sugli occhi…
Saluti e baci (fucsian) anche all’altra metà del cielo (ribaltando Mao…)
S.
TORTA DI RAPE ROSSE
INGREDIENTI
farina autolievitante: 200 gr
zucchero di canna: 200 gr
olio di semi di girasole: 150 ml
barbabietole lessate: 150 gr (al netto della buccia)
uova: 3
uva sultanina: 75 gr
semi di lino, di zucca e di girasole: 75 gr (complessivamente)
cannella in polvere: un abbondante pizzico
bicarbonato: mezzo cucchiaino
lievito vanigliato: 1 cucchiaino
per la glassa (di cui si può fare a meno…)
zucchero a velo: 10 cucchiai (più o meno)
acqua di fior d’arancio: 2 cucchiai (come sopra)
semi di papavero
Accendete il forno a 180° e foderate di carta forno uno stampo da cake.
Setacciate in una ciotola la farina con il lievito, il bicarbonato e la cannella.
Grattugiate le barbabietole con una grattugia a fori grandi (tanto per intenderci: quella del parmigiano non andrebbe bene, perché le riduce in poltiglia, ma se proprio non ne avete un’altra…) e tenetele da parte.
Sgusciate le uova, separando i tuorli dagli albumi, e montate questi ultimi a neve ferma.
Mettete nel mixer lo zucchero e l’olio di girasole e fate andare a velocità massima per almeno un minuto. Aggiungete poi i tuorli (uno alla volta) e, sempre continuando alla massima velocità, le barbabietole grattugiate.
Abbassate la velocità al minimo e aggiungete a cucchiaiate il mix di farina e lievito.
Infine aggiungete l’uvetta e i semi, fate andare il mixer lo stretto indispensabile perché si amalgamino al resto senza sminuzzarsi troppo, e poi rovesciate il composto un po’ alla volta nella ciotola degli albumi montati: a grosse cucchiaiate, cercando di non smontarli (io giro la frusta su se stessa e intanto sollevo l’impasto…).
Rovesciate tutto nello stampo, livellate e infornate per 50-60 minuti. La torta deve restare morbida dentro e non seccarsi troppo: perciò dopo una quarantina di minuti copritela con un foglio d’alluminio (aprite il forno lentamente e con cautela…) e più tardi usate uno stecco da griglia per vedere se è cotta.
Lasciatela una decina di minuti in forno prima di estrarla, sollevando delicatamente la carta forno (è friabile), e fatela raffreddare su una griglia.
Per glassarla, sciogliete una decina di cucchiai di zucchero a velo con un cucchiaio e mezzo-due d’acqua di fior d’arancio: aggiungetela poco alla volta, la glassa non dev’essere troppo liquida ma appena spalmabile (non vi devono restare pezzi di torta attaccati al coltello, tanto per esser chiari…). Quando sarà della giusta consistenza, coloratela con qualche goccia del liquido della barbabietole (ce n’è sempre un po’ nella busta del sottovuoto).
Cospargetela di semi di papavero e fatela raffreddare per almeno mezz’ora prima di servirla con una tazza di té forte e… possibilmente amaro.
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Credits
La ricetta non è mia, ma di Nigel Slater. Ho solo ridotto le quantità di olio, zucchero e farina, ho dimenticato completamente il limone, e ho colorato con la barbabietola la glassa (cosa di cui vado fiera, anche se questa torta – ve lo confesso – è decisamente migliore senza). E adesso, nuove sperimentazioni color barbabietola sono in corso, nella mia cucina…
Siete di quelli “barbabietole? no grazie…”?
Lo so, vi starete già chiedendo che sapore abbia una torta con dentro delle barbabietole e nemmeno un po’ di cioccolato (dato che è questa in genere l’accoppiata vincente quando si vuole mascherarne il sapore). Beh, vi stupirete: perché di quel gusto un po’ terroso da rapa non resta che la morbida consistenza…
Trattasi di una torta in perfetto British style: uvetta, semi e zucchero in quantità da farsi sentire. Perfetta con una tazza di té forte e amaro, molto meno con il cappuccino. Potrebbe essere una lontana cugina del pane dolce di kaki con noci e nocciole e del pane alle banane con nocciole e cioccolato. Non una cosa da inzuppare, ma piuttosto da piluccare. Non è una torta che mi sogno la notte (è un filino troppo dolce per i miei gusti), ma una dignitosissima soluzione per assaggiare qualcosa di diverso dal solito. Senza contare che è buona anche tostata, dal secondo giorno in poi… Una sola cosa non rifarei: la glassa. Secondo me non serve proprio a nulla (e il caro Nigel mi perdonerà). A meno che non dobbiate dedicarla a qualcuno che ama vedere il mondo dipinto di rosa: anche quando si tratta di una torta di rape…
E infine: rosa non a caso…
…perché anche se non sono mai stata un’appassionata dei festeggiamenti da 8 marzo (sono allergica ai recinti…), mi piace pensare che noi donne siamo declinabili in tanti modi: possiamo adornarci di una patina di zuccherosa leggerezza, e avere anche un cuore forte, saldamente piantato per terra. Un po’ come le barbabietole…