Fragole a merenda

Pane e cioccolata

Pane e cioccolata (brioches al cioccolato di Sabrine d'Aubergine)

Quand’ero piccola il cioccolato era femmina. Non “roba da femmine”, perché all’asilo Montessori per entrambi i sessi erano uguali i grembiuli… figuriamoci le merende. Ma perché le suore lo chiamavano “cioccolata”.

Ce lo davano alle quattro, non tutti i giorni ma abbastanza spesso da farcelo desiderare senza perderne il ricordo. Erano pezzi di tavoletta al latte, accompagnati da pane bianco e morbido. Un panino e una fila di quattro quadratini di cioccolato a testa, ognuno con una specie di tulipano a tre punte inciso sopra. Me lo ricordo benissimo, perchè mi piaceva e cercavo di farmelo durare a lungo. E poi perché ero lenta, pure a mangiare. Io non facevo merenda: osservavo quello che mi davano, poi – sempre dopo gli altri – lo mandavo giù. In genere seduta sul bordo della vasca con i pesci rossi.

Ci dicevano che non andava bene sbafarsi tutto il cioccolato lasciando il pane, che era roba da furbetti viziati non mangiare un pezzo dell’uno e un pezzo dell’altro. E siccome io ero un tipo un po’ sui generis ma in fondo ubbidiente, era così che facevo.

Ci faccio tuttora: sarà per le suore, o perché il cioccolato lo preferisco amaro e quindi da solo è un po’ forte, ma io lo mangio con un pezzo di pane. Possibilmente bianco e soffice.

Allora – mi son detta – tanto vale mettercelo addirittura dentro, il cioccolato nel pane, così almeno non si scioglie in mano come mi succedeva all’asilo Montessori. Ha funzionato. E mentre lo mangiavo sono tornata a quel giardino di suore e di bambini. Avrei voluto allungare la mano e lambire l’acqua, sentire i pesci rossi con le dita.

Non siedo più sul bordo di quella vasca: siedo alla scrivania e le dita scorrono sulla tastiera. Ma una cosa, questa sì che posso farla, e mi perdoni la Madre Superiora: cambio di nuovo sesso al cioccolato. “Pane e cioccolata” rende meno acuto il rimpianto…

PANE E CIOCCOLATA

INGREDIENTI

farina Manitoba: 400 gr
farina 00: 100 gr
zucchero semolato fine: 70 gr
burro: 40 gr
latte: 100 ml
uova: 2
malto (o miele): due cucchiaini
lievito di birra: 25 gr (un cubetto)
cioccolato: una tavoletta

Fate intiepidire il latte, scioglietevi 2 cucchiaini di malto (o di miele) e sbriciolatevi il lievito mescolando bene finchè non si dissolve completamente. Lasciate riposare finchè non si forma una bella schiuma (ci vorranno 5-10 minuti).

Setacciate le farine, mettetele in una grande ciotola e fate una fossetta al centro. Fate fondere dolcemente il burro, e scioglietevi lo zucchero. Sbattete bene le uova in una ciotolina.

Quando il lievito avrà formato una schiuma compatta, mescolatelo velocemente per attivarlo al massimo e versatelo nella farina. Aggiungete il burro zuccherato e le uova (tranne un paio di cucchiaini che terrete da parte) e tanta acqua tiepida quanta ne serve a formare un impasto sodo e compatto. (*)

Rovesciatelo sul piano di lavoro e lavoratelo per una decina di minuti. Poi rimettetelo nella ciotola pulita, ungetelo con un cucchiaino d’olio (serve a non farlo seccare) schiacciatelo un po’ con il palmo della mano e sigillate ermeticamente con la pellicola. Fate lievitare in un luogo riparato finché non raddoppia di volume (ci vorrà un’ora, un’ora e mezza).

Accendete il forno a 220°. Quando l’impasto sarà pronto rovesciatelo sul piano di lavoro, sgonfiatelo (non serve rilavorarlo) e ricavatene tante palline di 4-5 cm di diametro. Per preparare i panini: prendete una pallina, appiattitela con il palmo della mano, mettete al centro un quadrettino di cioccolato, richiudete la pasta premendo bene i lembi e lavoratela tra le mani come una polpetta finché non è perfettamente tonda. Il cioccolato dev’essere bene al centro dell’impasto sennò durante la cottura può decidere di andare a farsi un giro per conto suo. Io ho fatto anche delle treccine, infilando delle gocce di cioccolato tra le pieghe dell’intreccio.

Disponete i panini sulla leccarda coperta di carta forno e spennellateli con il resto dell’uovo a cui avrete aggiunto un po’ di latte (non esagerate, una spennellata leggera).

Fate lievitare per 10-15 minuti in un luogo riparato e infornate finchè non li vedete appena appena dorati (piazzatevi davanti allo sportello del forno e non perdeteli d’occhio, ci vorranno una decina di minuti al massimo, sennò diventano duri).

Se li mangiate appena fatti sono commoventi. Non fateli invecchiare: piuttosto surgelateli.

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World Bread Day
Se non fosse stato per Genny non me ne sarei accorta: oggi è il World Bread Day 2009 e io, senza saperlo, ho postato questa ricetta. Un segno del destino o puro accidente karmico? Non lo saprò mai. In ogni caso partecipo con piacere Grazie Genny!

Qualche accorgimento
(*) Usate il cucchiaio finchè la farina che incorporate è poca, poi iniziate a lavorare con una mano. Versate l’acqua poco alla volta, rigirando l’impasto nella ciotola finchè non si stacca bene dai bordi e riuscite a farne una palla che sia elastica, soda e non appiccicosa. Come fare a capire qual è la giusta consistenza? Pulitevi le mani e provate a lavorarlo: se vi rimane appiccicato addosso aggiungete un po’ di farina, se non riuscite a farne una palla e i pezzi sembrano “sbriciolati” e non stanno assieme aggiungete acqua.

Dell’eredità delle suore
Oltre all’amore per il pane e cioccolata, per il giardino, per la quiete dei chiostri e la chiassosa allegria dei bambini, per il fai-da-te e le recite a soggetto, mi è rimasta – non invariata, ma molto accresciuta nel tempo – una viscerale idiosincrasia per i furbetti in genere. Specie se viziati.

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La torta di pere allo zafferano

Torta di pere e zafferano

E’ un po’ di tempo che al supermercato sotto casa non si fa che parlar di zafferano: da quando l’hanno spostato negli scaffali vicini alle casse (perché pare che lo rubino a man bassa), fioriscono sul suo conto leggende metropolitane. C’è chi sostiene che lo spostamento sia dovuto ai “furti dei barboni” e chi lo imputa all’odore troppo forte perché si tratterebbe di zafferano cinese. La settimana scorsa un’anziana signora ha persino rivelato che, diluito in acqua, avrebbe effetti allucinogeni. [continua a leggere…]

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Muffins alle pere con noci tostate

Muffins alle pere e noci tostate

Un po’ provata ma viva, dopo un pomeriggio in balìa dell’energumeno della caldaia e del corollario di disordine e fuliggine che sempre si accompagna a ogni sua venuta, questa mattina me la sono presa comoda. [continua a leggere…]

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Ingredienti: burro-burro salatocannellafarina bianca 0 e 00farina integralelattelievito per dolcinocipereuovayogurt e yogurt grecozucchero di canna

Pain d’épices

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In genere il pain d’épices inizio a farlo un po’ prima di Natale: è una di quelle ricette che hanno la capacità di creare un’atmosfera, e il profumo di spezie e di miele che si spande per la casa mi induce una piacevolissima regressione. [continua a leggere…]

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Torta di porri con crema al gorgonzola

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Non posso dire di odiare le cipolle, ma di temerle… questo sì. Da quando una mezza cipolla sarda mi rovinà la crema Parmentier della vigilia di Natale, le uso con una parsimonia da tempo di carestia. [continua a leggere…]

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Crackers di farro ai semi di papavero

Crackers di farro ai semi di papavero

Questi crackers sono cugini della crosta leggera per ripieni di verdura: niente olio né burro, solo farina, acqua e ricotta (o caprino). La ricetta era nel famoso archivio-teiera di latta, arrotolata assieme a non so quante altre in una specie di cannolo stretto fermato da un elastico. Un foglio strappato da una rivista (Elle à table?), consunto e pieno di ditate che testimoniavano la lotta tra me e l’originale: i tentativi andati maluccio e le repliche buone, di cui mi segno sostituzioni di ingredienti e modifiche di quantità. Sono un tipo preciso io, lavoro con una matrice a due colonne: quantità originali a sinistra, quantità mie a destra (con note a margine). [continua a leggere…]

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Clorofilla dip

Dip di piselli, mandorle e parmigiano

Oggi post verde pisello, per un dip che è molto di moda a casa nostra. Un dip (ma mia nonna avrebbe detto “intingolo”) è una di quelle cremine nelle quali potete affondare quasi qualunque cosa (ho detto “quasi”: scordatevi il vicino maleducato… ). Crackers, verdure, polpette, bastoncini di formaggio: scatenate la fantasia, perchè questi composti morbidi sono fatti per intingerci di tutto… anche l’indice (ma solo se siete in due, oppure soli in cucina: e in entrambi i casi a porte chiuse).

Questa è una new entry estiva, carpita a Mark Bittman (l’editorialista del New York Times della storia del pane dell’altro giorno) e un po’ rimaneggiata per renderla più adatta alle latitudini nostrane: perché certe spiritosaggini possono far colpo a Manhattan, ma se le offrite in spiaggia dove vado io rischiano di esporvi al pubblico ludibrio. In compenso, le abbiamo dato un nome allegro, per via di quel suo colorino…

Le mie dosi (farebbe ridere parlare di ricetta) me le ero appuntate su un foglietto, ma la pagina a cui mi ero ispirata no, sicché stamattina non sono riuscita a ritrovarla: succede, se uno si scarica le ricette pensando di cucinare per mangiarsele e non di pubblicarle… (ma ci sono un paio di links a fondo pagina).

Non avete bisogno di suggerimenti per farvi fuori questa crema: sappiate solo che la menta le dà un sapore vagamente “etnico” (anche se i piselli con la mentuccia si fanno pure da noi…). Tradotto: non servitela prima delle lasagne al pranzo della domenica con i parenti tradizionalisti.

Se invece amate vivere pericolosamente, al primo inarcar di sopracciglia della suocera – mentre con la forchetta rimesta sospettosa il vostro dip come se stesse cercando un topo morto – non svelatene neanche il nome: dite con nonchalance che avete buttato nel frullatore un avanzo di piselli con la mentuccia come li faceva vostra nonna. Magari ci crede…

Parto per un paio di giorni: buon week-end a tutti. Saluti e baci,

S.

CLOROFILLA DIP

INGREDIENTI

piselli finissimi surgelati: 250 gr
parmigiano grattugiato: 3 cucchiai
foglie di menta tritate: 2 cucchiai e mezzo
mandorle tostate: 4 cucchiai
ricotta: 2 cucchiai
olio extra-vergine di oliva: 2 cucchiai
aglio: 1/2 spicchio
sale

Lessate i piselli in acqua salata per 5 minuti, poi scolateli e conservate un po’ del liquido di cottura.

Fate tostare le mandorle a fuoco dolce in una padella antiaderente. Sbucciate l’aglio togliendo il filamento verde. Sciacquate un po’ di foglie di menta e tritatele grossolanamente.

Mettete nel bicchierone del minipimer i piselli, l’aglio schiacciato con lo schiacccia-aglio, la menta e un paio di cucchiai di liquido di cottura: lavorate finché la crema non diventa perfettamente omogenea (non devono esserci pezzetti d’aglio a spasso).

Poi aggiungete l’olio e la ricotta, lavorando bene per montare un po’ il composto, e successivamente il parmigiano e il sale.

Da ultimo aggiungete le mandorle e azionate il minipimer solo per pochi secondi: altrimenti vi perdete il piacere di sentire i pezzetti.

Tenete in frigo, chiuso ermeticamente fino al momento di servire.

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Giusto per darci un po’ di tono….
Potete semplicemente sbattere tutti gli ingredienti contemporaneamente nel bicchierone del minipimer e premere il bottone per 20 secondi: andrà comunque bene (non stiamo mica parlando di chissà quale ricetta!). Ma se il dip è destinato a una cena carina, magari solo di cremine e crackers ma con un vino serio, di quelle in cui si mangia lentamente e amabilmente si conversa… beh, allora il procedimento descritto ha una sua ragion d’essere. Prima verdure e aromi, che devono diventare un tutt’uno. Poi l’olio, per montare un po’ il composto, e subito dopo il parmigiano, che non deve scomparire (lavoratelo appena). Qui fermatevi: assaggiate (siete ancora in tempo per aggiungere) e aggiustate di sale (l’ideale sarebbe lasciare tutto lì per una mezz’oretta così ha tempo di sciogliersi). Solo alla fine aggiungete la frutta secca, premendo il pulsante d’accensione per pochissimi secondi: non vi serve una poltiglia, ma qualcosa in cui affondare il vostro cracker senza perdervi il sapore delicato del parmigiano e i pezzetti di mandorle tostate. Perché questo non è un pesto, che sprigiona il suo profumo grazie al calore della pasta, ma un composto che mangerete a freddo: se ne fate un pappone, addio meditazione… e tutto quel che ne consegue.

Mark Bittman
Non mi appassionano affatto quelle manifestazioni di tifo sfegatato per cuochi alla moda e food-writers di successo. Trovo anzi che ci sia una tendenza ad “appiattirsi” su questi modelli, anziché utilizzarli come stimolo da rielaborare. Questo mio personalissimo convincimento (indotto dal senso di pericolo che sempre avverto in presenza di fanatici di ogni risma) non mi impedisce però di leggere moltissimo di cucina: intrufolarmi tra i fornelli altrui è uno dei miei passatempo preferiti.
Mark Bittman l’ho scoperto seguendo le tracce del pane che non si deve impastare e da allora, una sbirciatina di tanto in tanto ai suoi articoli non me la faccio mancare. Li potete trovare su:
The Minimalist, la sua rubrica settimanale sul New York Times
Bitten, il blog.

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Biscotti al mosto… senza mosto

Biscotti al mosto senza mosto

Vi avverto subito: questo è un post diverso dal solito, ma non potevo non scriverlo. E spero non me ne vorrete… [continua a leggere…]

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Ingredienti: burro-burro salatofarina bianca 0 e 00farina Manitobalattelievito di birrasemi d'anicesemi di finocchiouva e uvettazucchero semolato

Biscotti ai fiocchi d’avena e farina di riso

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Biscotti semplicissimi, nati in un pomeriggio di quelli in cui volevo cucinare senza andare a far la spesa.

L’idea era di fare i biscotti con farina d’avena. Peccato che fosse finita, che al supermercato sotto casa non la vendono e che non avessi alcuna voglia di andarmela a comprare due vie più in là. L’ho sostituita con dell’avena in fiocchi: una piccola variazione non avrebbe cambiato granché. [continua a leggere…]

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Il pane che non dovete impastare

Pane senza impasto, dalla cucina di FRAGOLE A MERENDA

C’è un tale Mr. Lahey a New York che ha divulgato al mondo una scoperta sensazionale. Ma Jim Lahey non è uno scienziato: fa il fornaio a Manhattan.

Siccome è uno che non teme la concorrenza – neanche quella delle massaie – un bel giorno di tre anni fa ha scritto una e-mail a un giornalista del New York Times: “La invito a venire da me per apprendere una tecnica di panificazione semplicissima, che consente alla gente di farsi un ottimo pane a casa con minimo sforzo”.

Il giornalista non si è fatto scappare l’occasione e ne è nato un caso “panettieristico” internazionale (perdonatemi il terrificante neologismo): articoli tradotti in varie lingue e ripresi in poche settimane dai foodblog di tutto il mondo, e un filmato che è diventato un cult su YouTube.

La “rivoluzione Lahey” ha avvicinato all’idea del pane fatto in casa migliaia di persone, alle più disparate latitudini, grazie al fatto che questa è una ricetta alla portata di tutti… e sottolineo: “tutti”. Perché mr. Lahey sostiene – non a torto – che con il suo metodo il pane lo può fare anche un bambino di quattro anni (a nessuno venga in mente, per favore, di lasciare l’infante in compagnia del forno acceso come baby-sitter… i bambini devono essere accompagnati, davanti alla tivù e pure davanti al forno).

La tecnica è di una semplicità estrema e soprattutto non richiede lavorazione dell’impasto: è il tempo a fare tutto. Ci vogliono circa 20 ore per sfornare una pagnotta, perchè la quantità di lievito è minima, e questo è forse l’unico ostacolo da superare. Per il resto: non fatevi problemi di farine, stampi, forni e lieviti. E mettete da parte l’armamentario concettuale del perfetto panificatore casalingo: non vi servirà a nulla, perchè il “metodo Lahey” è quanto di più flessibile possiate immaginare in merito a tempi di lievitazione, dosi e ingredienti.

Vi serviranno solo un forno e una pentola con coperchio che possa entrarvi (di ghisa, pyrex, coccio, acciaio: va bene tutto). Per il resto solo farina, acqua, lievito e sale. Una lista di ingredienti che più breve non si può per un pane buono, con una bella consistenza e una crosta croccante.

Tutto il mondo – almeno quello dei food blog – lo conosceva: io no. Quando l’ho scoperto su un sito americano è stato amore a prima vista… mi è riuscito perfettamente, da subito. E allora – mi son detta – magari c’è ancora qualcuno come me, di quelli che arrivano dopo, di quelli che non hanno ancora fatto una focaccia con l’uva fragola (…), a cui farebbe piacere conoscerla questa straordinaria invenzione.

Così oggi lo posto. Per tutti quelli che hanno un animo da fornaio della domenica. Anche se oggi è lunedì.

Buon inizio di settimana a tutti,

S.

IL PANE CHE NON DOVETE IMPASTARE

INGREDIENTI

farina bianca 00: 3 tazze, più un po’ per infarinare
acqua: 1 tazza e mezzo
lievito di birra disidratato: 1/3 di cucchiaino
sale fino: 1 cucchiaino e mezzo
crusca o semola: qualche cucchiaiata

Miscelate bene in una ciotola farina, sale e lievito. Aggiungete l’acqua e mescolate rapidamente con la mano finchè il tutto non si trasforma in un impasto molle e appiccicoso. Sigillate con la pellicola e dimenticatevi la ciotola e il contenuto per 12-18 ore (io ne aspetto in genere 16).

Trascorso questo tempo, l’impasto si presenterà pieno di bolle e ancora molto molle. Rovesciatelo sul piano di lavoro infarinato, schiacciatelo delicatamente con le mani per allargarlo un po’, e fate due giri di pieghe (il filmato le illustra benissimo e vi annoierei a spiegarvele io). Poi mettete la pagnotta, con la parte liscia sopra, su un canovaccio pulito ricoperto di crusca (o semola), spolverizzate con la stessa la superficie superiore e lasciate lievitare, coperto dal canovaccio per altre 2-3 ore.

Accendete il forno a 240° e metteteci dentro la pentola con relativo coperchio.

Quando sarà ben calda (e questo dipende dal vostro forno, ma la temperatura dev’essere davvero elevata…) estraetela dal forno (attenzione… ) e schiaffateci dentro la pagnotta con il lato piegato verso l’alto (cioè dovrà stare nella pentola al contrario di come stava sul canovaccio: parte liscia sotto). Non abbiate paura: non si attacca.

Infornate e cuocete per 30-35 minuti con il coperchio, poi per altri 15-20 senza.

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Ancora titubanti? Prima di passare all’azione vi dico pure che…

Pentola: dev’essere a bordi alti, con coperchio, adatta ad andare in forno (quindi niente manici di plastica…). Io adesso uso una pentola di ghisa, ma il primo esperimento l’ho fatto con una di acciaio ed è filato tutto liscio.
Forno: qualunque sia il tipo di forno che avete, sparatelo a 220-240 gradi. La pentola con coperchio farà il resto.
Farine: dopo vari esperimenti mi sono convinta che questo pane è migliore così, con la farina bianca 00. Al massimo con una parte di farina integrale. D’altronde se il nostro caro mr. Lahey l’ha fatto così una ragione ci sarà…
Lievito: normalissimo lievito di birra disidratato in bustine.
Acqua: di rubinetto, a temperatura ambiente.
Lievitazione: trattandosi di una lievitazione lenta, un’ora in più o in meno non fa differenza. Tra le 12 e le 20 ore va tutto bene, io in genere ne aspetto 16. L’importante è che lasciate la ciotola sigillata ermeticamente al riparo da correnti d’aria. Non aggiratevi per casa come dei ghostbusters per individuare l’angolo più caldo: non serve.
Lezioni a distanza: è importante che osserviate alcuni passaggi, giusto per impadronirvi della tecnica e vincere quel po’ di titubanza che forse ancora avete. Per cui, massima attenzione e… ladies and gentlemen, last but not least, directly from Manhattan… Il filmato originale con Jim Lahey che vi spiega come fare! Studiatevelo per benino e se non sapete l’inglese fate come i bambini: guardate le figure!

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Ingredienti: crusca di granofarina bianca 0 e 00lievito di birra